Quella del 2016 sarà la nostra sessantesima vendemmia.
Se fosse un matrimonio, sarebbero le nozze di diamante. Per noi soci e  amministratori de La Torre, questo traguardo rappresenta una grande soddisfazione e un motivo d’orgoglio, l’occasione per un brindisi davvero speciale e per rispolverare le nostre radici.
Noi, a La Torre, al centro di tutto mettiamo la terra e le persone. E alle parole di chi c’era dall’inizio, abbiamo voluto affidare la trascrizione della memoria e della nostra storia. Ai giovani che hanno scelto di impegnarsi con noi, chiediamo invece di portare avanti al meglio questo progetto, con lo sguardo e il cuore aperti al futuro.

Attraverso molte voci e molti volti presentiamo la nostra storia: una storia di terra, di cielo, di stagioni. E una storia di persone.

  • gpmenottiAmo il gioco di squadra, non è nella mia indole comandare da solo. Anzi, mi sento gratificato ad avere intorno persone che mi aiutano a realizzare un progetto.
    Questa è una cosa difficile, perché quasi nessuno mette a repentaglio ciò che ha per il bene degli altri: la disponibilità è un bene raro.

    Dal 2006 sono presidente della Torre di Castel Rocchero: ho assunto l’incarico dopo la mancata fusione con la cantina di Ricaldone. Oggi ho 56 anni, vorrei restare al mio posto per altri 10 e poi lasciare.

    Abbiamo già fatto molto: abbiamo rivoluzionato il modo di essere della cantina. La base sociale ha un’età media elevata, noi stiamo cercando nuovi soci, vorremmo dare continuità alla storia della Torre. Lo statuto ci legherebbe fino al 2056: abbiamo ancora molto tempo per lavorare insieme.

    La mia azienda si trova tra Castel Rocchero e Fontanile. Ha 28 ettari e conferisco tutto qui: Brachetto, Chardonnay, Moscato, Barbera, Cortese. Dal 1983 guido la Cascina Scapiano, che era di mia madre. Poi ho ampliato l’azienda e adesso ho ho anche la Corte del Cavaliere.

    Da quando sono entrato nel Consiglio di Amministrazione della Torre di Castel Rocchero sono stato sempre un po’ all’opposizione. Venivo da paese vicino, Alice, ed ero visto come il forestiero qui.
    Quando abbiamo preso la dirigenza  non avevamo conoscenze manageriali specifiche: si è azzerato tutto e abbiamo ricominciato tra difficoltà enormi. Mi ha aiutato la rete di conoscenze che avevo costruito nel tempo. Quando ho chiesto aiuto per la Torre di Castel Rocchero ho sempre trovato qualcuno disposto a venirci incontro.

    Vorrei ricordare due persone, fra le altre, che proprio nella fase di transizione ci sono state più vicine: Giovanni Cavallo e Giovanni Baldizzone,

     

    Gianpaolo Menotti, socio e presidente

  • GIUSEPPE BOLLALa terra, qui, era di mio padre, poi l’ho comprata io. Avevamo un’azienda molto grande, ma papà ha avuto un incidente che l’ha costretto a venderne una parte.

    Ho iniziato da bambino a fare questo lavoro. Mi piace questo stile di vita: c’è la libertà, si sta all’aria aperta.

    Coltivo Moscato, Brachetto, Barbera in otto ettari di proprietà e quattro in affitto.

    Sono un appassionato di vini. Come dice Giuliano Noè, se quando apriamo una bottiglia pensiamo al lavoro che c’è dietro dobbiamo inginocchiarci.

    La Torre di Castel Rocchero in questi anni ha fatto passi da gigante. Pur essendo una cantina piccola, con meno di ottanta soci, ha un proprio agronomo che segue le operazioni in vigna e insegna una cultura viticola, la cultura del produrre bene: con questo aiuto, anche un’annata cattiva ci consente di avere della buona uva. Tra soci ci parliamo molto, e io sono nel consiglio di amministrazione da quando avevo vent’anni. Gestiamo la cantina come se fosse la nostra casa. Per noi la prima regola è che il socio è il centro e il padrone di tutto questo, va remunerato al meglio delle possibilità.
    Noi abbiamo deciso di remunerare le uve sulla base della loro qualità, un prezzo meritato insomma. In altre realtà ci si divide ciò che avanza a fine anno, noi invece decidiamo a inizio anno che obiettivo darci e perseguiamo quello. Per riuscirci a volte facciamo vendemmie lunghissime, in attesa del momento perfetto. Abbiamo rinnovato tutto, con grandi investimenti e abbiamo avuto risultati importanti.

    Il futuro? Devo essere onesto, non ho più voglia di lavorare a lungo. Ho la soddisfazione di aver contribuito a portare una struttura che davano per morta  a essere una cantina dinamica: questo mi basta.

    Giuseppe Bolla, socio e vicepresidente

  • LUCA MIGNANOHo frequentato fino al 2002 la scuola enologica di Alba, poi ho fatto diverse esperienze in aziende locali: Toso, Perlino, il Consorzio del Brachetto e quello dell’Asti. Nel 2006 a Castel Rocchero si ventilava l’idea di una fusione ma i soci, per l’80 per cento, erano contrari. Questa spaccatura portò a un cambio di amministrazione.
    Un sabato mentre ero nel vigneto, Gianpaolo Menotti mi chiese se mi interessava lavorare per la Torre di Castel Rocchero. Non me lo sono fatto ripetere due volte: tutta la mia famiglia ha lavorato qui, per generazioni.

    Avevo la competenza tecnica necessaria, ma ereditavo una situazione complessa. Ho iniziato immediatamente: settembre fu l’ultimo mese di lavoro al Consorzio dell’Asti, in ottobre, iniziai a lavorare qui. Certamente c’erano problematiche strutturali che avevano bisogno di investimenti ragionati per essere risolte. Ma questa è una zona molto vocata per la viticoltura: si trova a 450 metri sul livello del mare, un suolo di terre bianche che dà grandi profumi, la dimensione dell’azienda è piccola il che ci consente di calibrare bene la qualità. Abbiamo un paesaggio meraviglioso, molto fotografato, nella “buffer zone” dell’Unesco.
    Abbiamo lavorato, stiamo lavorando. Il traguardo che mi prefiggo adesso, con il presidente Menotti e il consiglio di amministrazione, è un progetto di visibilità, significativo per il territorio e per la cantina. Non ci manca nulla, e questa sarà la sfida per i prossimi quattro o cinque anni”,

    Luca Mignano, enologo e direttore di produzione

  • FABIO MARIANSono di Canelli. Lavoravo in un’azienda del settore dolciario. Quindici anni fa, avevo 30 anni, ho preso una decisione: avrei preso della terra e l’avrei coltivata. Così, con la liquidazione, ho comprato della terra a Castel Rocchero, dove già avevamo una casetta.
    Adesso ho sei ettari di vigneto: Barbera, Cortese, Moscato. Soprattutto all’inizio mi ha aiutato mio padre, che conosceva il lavoro. Qui avevo già gli amici, ragazzi del paese che frequentavo.
    Fare l’agricoltore è un lavoro particolare. Ne apprezzo l’indipendenza, la possibilità di lavorare senza padroni, ma seguendo i ritmi della terra.

    Fabio Marian, socio e consigliere economo

  • MONICA CARUZZOHo 32 anni, e sono mamma di una bambina di sei. Sono nel consiglio di amministrazione della Torre di Castel Rocchero.
    Nella vita ho fatto l’impiegata per otto anni in un’azienda del settore agricolo. Poi ho deciso di dare una svolta, così mi sono rimboccata le maniche e ha preso in mano insieme a mio padre Giuseppe l’azienda di famiglia.

    I miei nonni arrivarono qui nel 1955 da Castel Boglione. Erano dei mezzadri. Poi con piccoli risparmi comprarono degli appezzamenti, li lavorarono. Mio padre ha lavorato a lungo nel comparto agromeccanico. Oggi abbiamo tre ettari e mezzo, e due anni fa questo è diventato il mio lavoro a tempo pieno.
    Ho sempre visto la Torre da casa mia. Ha rappresentato sin dall’infanzia il mio panorama. Certo non è stata sempre florida e produttiva come è adesso. Ma non l’abbiamo mai abbandonata, ci abbiamo sempre creduto. E adesso ci sono persone che lavorano bene, persone che ci credono. Io ci credo, c’è anche il sudore della mia famiglia su queste colline. Voglio metterci del mio: è il mio futuro, e forse quello di mia figlia Michelle, vorrei costruire per lei questa opportunità.

    Si sta avviando un cambio generazionale,  mi sembra che ci sia un ritorno all’agricoltura. Vorrei ampliare la proprietà a sei, sette ettari. Coltivo Dolcetto, Moscato, Cortese, Chardonnay, Brachetto.
    Mio padre mi dà una mano, ma tutta la manodopera è mia: è un lavoro che mi dà molta soddisfazione. Assaggiare il mio vino in vendemmia, capire che è buono e piace alla gente mi fa stare bene.

    Il mio sogno? Che si punti su nuove opportunità di commercio. Tradizionali, spostando il punto vendita sulla strada, e nuove, attraverso la rete, il sito internet, i social network. Spero che con il tempo i 200 ettari il cui frutto converge oggi su La Torre saranno rilevati da giovani e non vengano scorporati.

    Monica Caruzzo, socia e consigliera

  • GRT_9368 copiaChe vino preferisce Aldo Ivaldi, 85 anni? “Mej che la Barbera…” ride. “Noi ne produciamo quattro o cinque brente”.

    E Teresa, sua nipote? “Va bene tutto, ma preferisco il Brachetto”. Teresa ha due figli di 35 e 40 anni. È stata a lungo lontana da Castel Rocchero, prima per studiare poi per il suo lavoro. Adesso è tornata,  cura i vigneti di famiglia. Tra boschi e campi gli Ivaldi possiedono 10 ettari, ma solo tre sono vitati.

    La famiglia di Aldo (che è nato nel 1930), è proprietaria della cascina dal 1911. Negli anni Trenta la ristrutturarono. Producevano 14 brente di vino. Molti impianti Aldo li ha ereditati dal padre. Aldo è l’ultimo di quattro figli: oltre a lui, Francesca, Tommaso – padre di Teresa -, Giovanni.
    Il padre di Teresa cercava sempre di tenere un ettaro di Barbera, uno di Dolcetto e uno di Moscato. Nel 1952 produssero 80 ettolitri di vino, 50 dei quali erano di Moscato.

    Aldo all’inizio portò le damigiane per mettere il vino da casa propria, perché in cantina non c’era ancora niente.
    Il primo trattore fu un cingolo, negli anni Settanta. Da queste parti se ne vedevano pochi. Si lavorava con il bue, tra filari stretti e pendenze ripide.

    “Venivo da casa a vedere chi portava via il vino – racconta Aldo -. Lo portavano via, c’era un cantiniere che lo faceva sparire. Erano gli anni Settanta. Allora noi venivamo in otto, qui, a dormire vestiti, sulle brande. Venivamo con il fucile. Io ho anche sparato. Si figuri che una volta sparì anche il torchio che era stato portato dai soci per aiutare la cantina. Chissà chi lo prese. Ha presente rubare un torchio?”

    Aldo fu il primo a partecipare alla Corsa delle Botti di Nizza Monferrato per la cantina La Torre: Castel Rocchero è la cantina che ha vinto per più anni consecutivi la corsa.

    Aldo Ivaldi e Teresa Ivaldi, soci

  • ALIS BENSIMia madre aveva origini romagnole, e leggeva tanti libri. Forse il mio nome, Alis, lo ha trovato fra le pagine di uno di quei volumi. E anche quello di mio fratello Soarez. Lui è andato a stare ad Acqui, e oggi con l’altro mio fratello, Domenico, abbiamo in tutto sette ettari, divisi tra Barbera, Dolcetto e Brachetto.

    Io sono nato a Castel Rocchero, mi ricordo da sempre di questa cantina. Mi ricordo negli anni Sessanta, le file di buoi e di carri che scaricavano l’uva fino all’una di notte; si dormiva sui sacchi di tappi, a gennaio, quando filtravamo il Moscato attraverso i sacchi di juta olandese.

    Il posto più lontano da Castel Rocchero in cui sono andato è stata la Romania, nel 1993. Era da poco morto Ceausescu, non c’era niente; non vedevo l’ora di tornarmene a Castel Rocchero.

    Alis Bensi, socio

  • gbotteroHo 71 anni. E ancora percorro in moto 6 o 7 mila chilometri l’anno. Ho uno scooterone della Honda. Vado e vengo da Castel Rocchero a Torino: mi godo queste colline con i loro saliscendi, non scelgo mai le autostrade.

    Per tutta la vita sono stato alle dipendenze di altri, adesso voglio fare quello che mi piace.

    Il mio rapporto con Castel Rocchero è eccezionale. Se potessi restare lì darei in cambio degli anni di vita. È davvero un grosso rammarico non poter vivere nella casa che mi ha lasciato mio padre; ma ci passo le estati, e i fine settimana. Ho tutti gli amici a Castel Rocchero e sono stato anche nel consiglio affari economici della parrocchia: sono stati i miei compaesani ad eleggermi!

    Possiedo solo un ettaro di viti. Nel complesso della cantina sono un ago nel pagliaio: nessuno ha meno viti di me! Mi diverto, faccio un po’ di fatica. L’anno scorso ho insegnato la potatura a mio figlio, Marco Bottero. Ha 39 anni e quando io ho qualche tentennamento sentenzia: “La terra non la vendiamo”.

    Ho visto nascere la cantina: c’è una foto della posa della prima pietra e io sono il giovanissimo chierichetto in primo piano accanto al vecchio monsignore.
    Si respirava un’aria bellissima quel giorno: era il compimento di un desiderio dei nostri padri. C’era molta gente: ricordo il sindaco e un  muratore in età – era mio cugino Efisio Bottero – che aveva preparato la calce. Quel vecchio muratore posò la prima pietra alla presenza delle autorità del paese. Sono passati 63 anni da quel giorno, e adesso ci avviciniamo alle 60 vendemmie: nel suo piccolo, la Torre di Castel Rocchero è stata sempre all’avanguardia e mi pare abbia superato la crisi degli ultimi anni, diversamente da altre cantine sociali. Il punto di forza sono proprio i soci e gli amministratori: le persone insomma. Il punto di forza è la capacità di mantenere equità tra lavoro e remunerazione, e aver mantenuto un’identità riconoscibile.

    Giovanni Bottero, socio

  • mauro gaviglioMio nonno faceva il vino in casa, ma ci furono dei problemi di burocrazia. Allora iniziò a portare l’uva ad Alice, alla vecchia cantina, con i buoi. In quegli anni si decise di creare una cantina a Castel Rocchero, ma ci si divise. Se ne costruirono due: una democristiana, in paese, e La Torre, che aveva un orientamento liberale.
    Ho ancora davanti agli occhi l’immagine dei muratori che costruivano il muretto.
    Ricordo annate con tantissimo mosto, i sacchi di juta del moscato e le donne che li lavavano.

    Iniziai a lavorare a 16 anni. Facevo le stagioni. C’era il torchio. Quando era pieno si scaricava tutto a mano, si rimuoveva la pressa, si portava alla torre in sei o sette, camminando sulla ghiaia. Poi di nuovo al peso; si facevano dei mucchi e quando ce n’erano abbastanza si caricava il camion e si rompevano le forme con la zappa. Faticavamo fino a mezzanotte, era una stanchezza felice, perché avevamo creato qualcosa che ci apparteneva, qualcosa che era profondamente nostro.

    Ho un genero che lavora in banca. Una volta mi ha detto che avrebbe voluto lavorare la mia terra, e comprarne dell’altra. Allora per un anno ho segnato tutte le spese dell’azienda, un conto economico preciso, e gli ho mostrato quanto si guadagna, senza considerare gli incerti. Ha rinunciato.

    Insieme ad Alis tengo aperto il negozio il sabato pomeriggio e la domenica. È un punto d’orgoglio: prima per 52 sabati, 52 domeniche, 15 giorni ad agosto, altrettanti a Natale, e tutte le feste comandate il negozio restava sempre chiuso. Noi abbiamo iniziato a tenere aperto. Non ero capace, ma mi sono messo a farlo ugualmente, adesso si è creato un buon flusso, con risultati soddisfacenti. All’inizio aprivamo solo al sabato e alla domenica mattina. Ma allora, ci siamo detti, perché non al pomeriggio? E perché non i festivi? Oggi abbiamo solo cinque giorni di chiusura l’anno: il primo dell’anno, Pasqua, Ferragosto, Natale e Santo Stefano.

    Mauro Gaviglio, socio

  • PAOLO BOLLALo sa qual è stata la prima doc? Il vino di Ismaro. Nell’Odissea, datata attorno all’VIII secolo avanti Cristo, Omero descrive per la prima volta non un semplice vino, ma un vino di un certo paese, Ismaro nella Tracia appunto. Ismaro esiste ancora, vi si produce vino rosso capiteux. Odisseo riceve in dono dodici otri di vino di Ismaro dal sacerdote Marone, e poi lo usa facendo ubriacare Polifemo per liberare se stesso e i compagni.
    Amo la storia dei vini e dei vitigni. La studio da una vita. Amo anche la musica, l’arte e la storia dell’alpinismo.

    Ho lavorato per circa due anni alla Cantina La Torre di Castel Rocchero come contabile. L’ho vista nascere da un terreno a vigneto. Quei due anni mi sono stati utilissimi, e già allora sentivo l’appartenenza al mio paese, e alla cantina La Torre.

    Sono nato nel 1931 e nell’immediato dopo guerra qui era la malora. Ho conosciuto tanti Agostino Braida  di fenogliana memoria: contadini sopraffatti da fatica e stanchezza che, grazie ai loro sacrifici, hanno permesso a figli e nipoti di diventare agricoltori-imprenditori di tutto rispetto.

    Nel 1947 mio zio, il cavalier Giovan Battista Bolla, con altri vignerons, costituì una delle prime cooperative agricole di trasformazione della zona, con sede ad Alice Bel Colle. Dopo, alcuni anni decisero di costruire la cantina sociale La Torre. Nel 1956 ci fu la nostra prima vendemmia.

    C’erano poco più di cento soci. Ebbero grandi problemi ad accendere un mutuo: la pratica si era persa – o l’avevano fatta sparire – e il mutuo tardava ad arrivare. Per riuscire a ottenere il mutuo dovemmo trasformare la società da responsabilità limitata a illimitata. Così tutti i soci rispondevano in proprio.
    Ricordo la bottiglia dei fondatori, è ancora nelle fondamenta. Dentro c’era un cartiglio, l’avevo scritto di mio pugno. All’epoca ero imbevuto di principi liberali, e amavo questo progetto, la sua anima sociale ed economica allo stesso tempo.

    Il primo anno vinificammo 15mila quintali di uva, di cui 9mila di Barbera, circa 3mila quintali di Dolcetto, e altrettanti di Moscato che andava a Canelli, da Robba. Barbera e Dolcetto invece venivano acquistati da Dezzani e andavano a Cocconato.
    Il resto veniva venduto al minuto. C’era un trasportatore, Benito, che portava il vino a Milano, Torino, Genova a domicilio. E poi un corriere, Visca, andava ad Asti per le piccole consegne.
    Ricordo i primi clienti, piccoli commercianti cuneesi, noi li chiamavamo “i narsulen”: arrivavano con i loro camioncini, caricavano il vino in piccole botti e pagavano con rotolini di contanti. Qualche cliente più grande lo portò mio zio anche grazie all’esperienza fatta ad Alice.
    Il mio primo stipendio lo ricordo benissimo, era di 35mila lire: mi sentivo ricco, ma forse lo ero solo di giovinezza.
    A tanti anni di distanza, voglio rivolgere un pensiero riconoscente alla dirigenza imprenditoriale e tecnica de La Torre di Castel Rocchero. Continuano oggi con passione e dedizione il lavoro iniziato da noi.
    Semper ad maiora canamus.

    Paolo Bolla, primo impiegato